Di Valentino Di Lauro.
E’ il 4 maggio, la data più attesa dagli italiani negli ultimi mesi, questo è il mio requiem, alla momentanea triste scomparsa delle relazioni sociali.
Sono uscito per l’agognata libera passeggiata, esente da autodichiarazione, munito di mascherina e accompagnato da mio figlio di quasi 6 anni, che per qualche mese ancora potrà mostrare le sue espressioni facciali ai passanti.
E’ proprio nella relazione con i passanti che la nostra passeggiata ha preso una piega tragicomica, mi sembrava di sentire i pensieri di tutte le persone che incontravo, gli sguardi concentrati sulla mascherina altrui, e da questo sguardo parte il giudizi, da cui la mascherina ti protegge meglio che dal virus.
Se ti copre bene naso e bocca, quando il respiro si fa forte ti si appiccica alle narici, devi rallentare la frequenza e l’andatura, ma ti sentire moralmente superiore al passante che l’ha alzata appena ti ha visto all’orizzonte.
Dopo qualche minuto che non incroci nessuno senti questo impulso di abbassarla, liberi il naso con qualche respiro che ti riempie i polmoni, e ti sembra di essere appena uscito da un bar negli anni 90.
Ed ecco che da un angolo spunta la coppia di vecchietti, che oltre ad essere vestiti con pantaloni e maglioncino come se fosse febbraio, indossano queste maschere che gli premono anche le palpebre, riesci solo ad intravedere la tristezza e la paura che esprimono, perchè sei impegnato a mettere in atto una strategia per evitare il contagio e la gogna, scarti in mezzo alla strada con il rischio di essere investito, meglio morto che untore, polverizzi anni passati ad insegnare a tuo figlio di guardare prima di scendere dal marciapiede, e non sai dare una spiegazione del motivo…
L’obiettivo della passeggiata è diventato andare in una zona dove posso incrociare meno persone possibili, forse è diventata una fuga… punti al sentiero che porta in cima al monte, la gente che va verso montagna capirà le tue necessità respiratorie.
Finalmente giunti all’apice, incontri un runner pronto a partire per la sua agognata corsa in montagna, già da distante vedi la sua trepidazione mentre si mette le scarpe, estrae dal bagagliaio i bastoncini, non sembra munito di mascherina o altri dispositivi limitanti, anzi, a petto nudo sembra una tigre che è appena stata liberata dalla gabbia, pronta ad entrare nella foresta, e convinta che nessuno le si avvicinerà, ti chiedi come possa aver conservato un fisico atletico dopo due mesi di quarantena…
E’ il momento di fare una pausa, perchè a breve inizia la discesa, ti fermi a qualche metro di distanza, togli la mascherina e con questa azione ti esce un “ciao” di bocca che ti sorprende, come fosse stato intrappolato dentro fino ad ora, scopri di non aver parlato a nessun passante dall’inizio della passeggiata, ti prendi 5 minuti per una piccola conversazione sulla bellezza dello stare all’aria aperta, riprendere qualche abitudine che eri stato costretto ad abbandonare, e l’assurdità della situazione attuale.
Comincia la discesa, questa piccola conversazione ti ha caricato di un’energia nuova, sul sentiero nel bosco tieni la mascherina sul mento, ma non temi il momento di rimetterla, perchè qualcosa è cambiato, rientrati nelle vie della città te la indossi integralmente, con la determinazione di un centauro sulla griglia di partenza della motogp.
Al primo passante che incroci ti scappa un “ciao”, ma il normale volume di conversazione e annientato dal filtro FFP2, con il passante successivo alzi il volume, e da dentro il casco urli “buongiorno” questa volta sfondi la protezione, il passante non se l’aspettava, scopri nei suoi occhi la sorpresa, non fa a tempo a risponderti, ma ti senti soddisfatto e speranzoso, da lì in avanti non te ne perdi uno “ciao” “buongiorno” “salve” “buona giornata”, pensi ad altri modi ma non ti vengono in mente, non vedi l’ora che passi mezzogiorno per dire “buon pomeriggio”.
Scopri che la tua parola arriva forte al passante, perchè fortunatamente non siamo ancora costretti ad indossare tappi per le orecchie, e annienta il giudizio, questo semplice cenno ti riconnette con l’altro, ricorda che entrambi siamo persone, e non eventuali portatori di virus, fa venire alla mente il saluto del motociclista, e ricordi la gioia che hai provato la prima volta che hai girato con una vecchia moto e scoperto che altri centauri ti facevano cenni con le dita e con il capo.
Questa gioia del semplice cenno è sostituita in questo momento dall’usare la parola, usarla ad alto volume, sfondare gli scudi che siamo costretti a portare per ricordarci che vediamo l’altro, e ci sentiamo ancora ancora esseri umani.
Siamo diventati bikers del marciapiede, e a prescindere da come teniamo la bandana, dobbiamo scegliere se essere gli “Hells Angels” e creare bande rivali, o membri del “Vespa Club” e creare inclusione e fratellanza.
Valentino
Comments 2
Bellissimo articolo, super metafora… grazie!!!!
molto bella !!! chi è l’autore ?